Con l’arrivo della nuova Ferrari Purosangue, che scardina schemi consolidati, gli appassionati più conservatori della casa del “cavallino rampante” sentono il bisogno di tuffarsi nella tradizione storica del marchio, per rifarsi dal senso di smarrimento generato dall’ultima nata del marchio. Il post odierno può dare una grossa mano d’aiuto in tal senso, facendo vivere le emozioni di 3 delle “rosse” più iconiche di sempre. Avanti tutta!
Ferrari F40
Questa è senza ombra di dubbio la “rossa” più carismatica dell’era moderna ed una delle opere a quattro ruote più iconiche di sempre. La semplice pronuncia del suo nome produce emozioni speciali ed uniche nel cuore degli appassionati. Erede della GTO del 1984, la Ferrari F40 giunse in società nel 1987. Sin dal primo momento lasciò tutti a bocca aperta.
Anche Enzo Ferrari visse per lei un amore vero e genuino. Quando fu tolto il velo nel centro civico di Maranello, la sua proverbiale capacità di nascondere le emozioni fece spazio a un palese coinvolgimento sensoriale. Impossibile non farsi travolgere dal fascino sublime delle sue forme, destinate all’eternità.
Pininfarina, nel definirne i tratti, seppe dare il meglio di sé, con un corpo stilistico da antologia, impossibile da confondere con qualsiasi altro, nonostante una certa parentela grafica con la GTO Evoluzione. La Ferrari F40 lascia il segno. Sembra un prototipo strappato alla pista di Le Mans o, se preferite, un’astronave giunta da un pianeta molto più evoluto del nostro.
Nei suoi tratti si coglie una meravigliosa miscela di forza e sportività, espressa comunque in modo molto armonico e senza la benché minima stonatura. Nulla è fuori posto, tutto si trova esattamente dove deve essere. I suoi volumi si concedono alla vista in modo plastico e coinvolgente. Nessuna vettura dell’era moderna ha un carisma paragonabile al suo.
Un mondo a parte
La Ferrari F40 proietta in una dimensione emotiva unica e senza paragoni. Vederla in mezzo alle banali lamiere delle altre auto produce lo stesso effetto di un concerto dei Pink Floyd in una festa patronale di un paese sperduto di montagna: roba da non crederci. Nata per celebrare i primi otto lustri di attività della casa di Maranello, questa “rossa” fa ampio uso di materiali compositi.
La spinta fa capo a un motore V8 biturbo da 2.9 litri di cilindrata, che eroga una potenza massima di 478 cavalli a 7000 giri al minuto, con un picco di coppia di 58.8 kgm a 4.000 giri al minuto. Il tutto su un peso di soli 1100 chilogrammi. Ne deriva un quadro prestazionale assurdo, almeno per i suoi tempi.
La Ferrari F40 accelera da 0 a 200 km/h in 12 secondi, copre il chilometro con partenza da fermo in 21 secondi. La velocità massima si spinge a quota 324 km/h. I tester di alcune riviste specializzate fecero ancora meglio su tutti i fronti legati alle performance. All’ingegnere Nicola Materazzi, recentemente scomparso, va il merito del suo progetto, armonico in tutte le dimensioni. Si vede che è il frutto di un’unica mente pensante. Le alchimie sensoriali sono al top.
Poche auto sono inebrianti quanto la Ferrari F40, anche sul piano dinamico. L’intensità della spinta, le vigorose scariche di coppia, la bontà dell’assetto, la precisione del volante, le musicalità meccaniche: sono tutte note di una composizione che si fissa per sempre nel cuore. Stiamo parlando di un’auto magica, che rapisce i sensi. Uno strumento di piacere unico ed inimitabile, entrato per sempre nella storia. Meriterebbe la tutela dell’Unesco, come espressione sublime dell’arte creativa umana.
Ferrari 330 P4
Questa è senza ombra di dubbio l’auto da corsa più bella di sempre. Incredibile il modo con cui un modello orientato soprattutto alle esigenze funzionali riesca ad essere così seducente nei suoi lineamenti. I prototipi di oggi, goffi e sbilenchi, non fanno altro che esaltare ulteriormente lo splendore della Ferrari 330 P4, le cui forme sono degne dei red carpet dei concorsi d’eleganza più prestigiosi del pianeta, dove il successo è sempre alla sua portata.
Incredibile la grazia stilistica del modello. Nella sua carrozzeria, sinuosa e muscolare, si coglie una grande armonia di linee e di volumi. Nulla è fuori posto; tutto è perfettamente calibrato. Parlare di un capolavoro assoluto è più che appropriato. Questa “rossa” meriterebbe un posto al Louvre di Parigi, accanto alla Gioconda.
Nata nel 1967 per disputare il Campionato Mondiale Sport Prototipi, seppe imporsi in pista, regalando alla casa di Maranello un altro alloro iridato. Il suo telaio a tralicci di tubi d’acciaio di diverso spessore, con piastre rivettate in alluminio, accoglie un cuore nobile. Si tratta di un motore V12 da 4 litri di cilindrata, che eroga 450 cavalli di potenza massima a 8000 giri al minuto, su un peso a secco di 792 chilogrammi.
Una bella da corsa
Nata per riportare la casa di Maranello al vertice della specialità, dopo lo smacco subìto nel 1966 ad opera della Ford, la Ferrari 330 P4 seppe tenere alta la bandiera del “cavallino rampante” nella stagione del suo esordio, che avvenne alla 24 Ore di Daytona, dove le “rosse” guadagnarono i primi tre posti al traguardo, con un arrivo in parata entrato per sempre nel storia. Il successo andò a Bandini ed Amon.
Nel prosieguo di stagione la 330 P4 ottenne la doppietta anche alla 1000 km di Monza. Andò meno bene alla Targa Florio, dove l’idolo di casa Nino Vaccarella fu costretto al ritiro per il contatto con un cordolo in un curvone a sinistra nel cuore di Collesano. Senza questo imprevisto la classifica della gara madonita sarebbe stata diversa. I risultati successivi bastarono comunque alla casa di Maranello per assicurarsi il Trofeo Costruttori, per la tredicesima volta nella sua storia. Il conto coi rivali americani fu chiuso.
Nel 1968 entrò in vigore un nuovo regolamento tecnico, che imponeva un limite di cilindrata di 3 litri. Ferrari si dovette adeguare, mettendo da parte la splendida 330 P4. In totale presero forma tre vetture di questa specie. L’unica rimasta in condizioni originali è quella col telaio numero 0856. Dal punto di vista estetico, la più bella è la versione spider.
Nella sigla del modello è riportata una sigla numerica che mette in evidenza la cilindrata unitaria di questa suggestiva “rossa”, che sfoggia una distribuzione bialbero a camme in testa e 3 valvole per cilindro. L’alimentazione fa capo ad un sistema di iniezione indiretta Lucas. Al cambio manuale a 5 rapporti, disposto in blocco con il motore e di produzione interna, il compito di assecondare al meglio il pilota nella gestione della grande energia messa sul piatto dal propulsore. I freni sono a disco sulle quattro ruote.
Ferrari 250 GTO
Un mito nel mito. Così può essere considerata questa vettura, di fascino e storia unici e inimitabili. Prodotta a partire dal 1962, la Ferrari 250 GTO incarna al meglio l’eccellenza della casa di Maranello. È forse la “rossa” più iconica ed amata. Non c’è angolo del mondo dove non sia vissuta come un fatto di fede. Verso di lei c’è un’autentica devozione, a tutte le latitudini.
Non occorre spiegarne le ragioni: basta vederla per innamorarsene. La sua carriera sportiva, poi, è sublime. In totale ha preso forma in 36 esemplari, 3 dei quali della seconda serie. Nata per sostituire la 250 GT Berlinetta passo corto, esprime un livello di performance e di accuratezza ancora superiore.
Il suo progetto porta la firma di Giotto Bizzarrini, con l’apporto finale di Mauro Forghieri, mentre la cifra stilistica è quella di Sergio Scaglietti. Nella sigla sono evidenziate alcune sue caratteristiche: 250 indica la cilindrata unitaria, GTO sta per “Gran Turismo Omologata”. Cuore pulsante del modello è un motore V12 da 3 litri di cilindrata che eroga una potenza massima di 300 cavalli a 7500 giri al minuto, scaricati a terra con l’ausilio di un cambio manuale a 5 rapporti.
Ottimo il comportamento stradale, grazie anche alla robustezza del telaio con longheroni e traliccio in tubi di acciaio di diversa sezione. Questo consentiva l’uso di sospensioni più “morbide”, che rendevano la sua marcia meno saltellante sui percorsi più accidentati. I freni erano a disco sulle quattro ruote.
Incantevole ed efficace
Buona la cura aerodinamica, con livelli di deportanza nettamente superiori a quelli della precedente SWB. Il muso lungo e basso teneva la parte anteriore più ancorata all’asfalto, mentre dietro ci pensava l’appendice a coda d’anatra a tenere alto il livello di carico verticale. Meraviglioso il look. L’incantevole sagoma sgorgò dal nudo metallo grazie alle magiche virtù del grande Scaglietti. Questa “rossa” è la perfezione fatta materia.
La Ferrari 250 GTO viene considerata da molti come l’auto definitiva. Quella che l’Unesco dovrebbe tutelare per farla conoscere alle generazioni future, come icona del genio creativo umano. Lei ha la capacità di manipolare a suo piacimento il DNA degli appassionati, che trovano in essa una sirena irresistibile, nata da un processo genetico Made in Maranello. Il palmares è al top. Basti dire che la Ferrari 250 GTO, tra il 1962 e il 1964, ha messo in cassa tre titolo mondiali. Credo non occorra aggiungere altro per capire la sua capacità di adattamento ai contesti agonistici.
Proverbiale la sua affidabilità, nonostante la natura molto spinta del modello, capace di raggiungere i 290 km/h di velocità massima. Vincente in gara, questa “rossa” è pure in grado di imporsi nei più prestigiosi concorsi d’eleganza internazionali. Per molti anni è stata anche l’auto più costosa al mondo. Quando un esemplare viene battuto all’asta o ceduto in trattativa privata, le cifre diventano sempre stellari. Un’altra prova della sua eccellenza. Stiamo parlando di una regina assoluta, forse dell’interpretazione più alta di sempre in ambito automobilistico. In Emilia Romagna possono andare fieri del loro lavoro.