Nella storia Ferrari i modelli da sogno non si contano. Alcuni, però, hanno un valore culturale, emotivo e collezionistico superiore agli altri. Non è questione di prezzo, ma di vibrazioni sensoriali, anche se sono accessibili a pochissimi eletti. In alcuni casi risultano addirittura introvabili sul mercato, ma restano delle stelle brillantissime della galassia automobilistica, che proiettano in una dimensione onirica. Oggi abbiamo scelto 5 di questi “cavallini rampanti” esclusivi, che renderebbero unica una collezione. Seguiteci alla loro scoperta.
Ferrari 250 GTO (1962)
Non occorre spiegare perché questa vettura sia la “rossa” più celebre di tutti i tempi. Molti conoscono la sua storia; tutti vengono rapiti dal fascino sublime delle sue forme e dalle musicalità meccaniche del suo motore. La Ferrari 250 GTO è un monumento a quattro ruote, che meriterebbe la tutela UNESCO. Questa scultura dinamica si erge al rango di auto simbolo della casa di Maranello, di “rossa” per antonomasia. I progettisti hanno saputo infondere in essa il migliore DNA del “cavallino rampante”.
Nella vettura in esame ci sono la bellezza, il motore a 12 cilindri, le prestazioni di riferimento, i successi sportivi. Cosa pretendere di più? Solo in Emilia Romagna, terra di grande passione, poteva prendere forma una cosa del genere. La sua nascita risale al 1962. Sono passati, quindi, 60 anni dal suo esordio in società. Un lungo periodo, nel corso del quale ha fatto sognare milioni di persone. Ad assicurare la spinta della Ferrari 250 GTO provvede un V12 da 3 litri di cilindrata, con 300 cavalli di razza, al servizio delle performance. La velocità massima è di circa 290 km/h. Nel suo curriculum sportivo ci sono tre titoli mondiali, guadagnati tra il 1962 e il 1964.
Ferrari 330 P4 (1967)
Ecco un altro modello iconico della casa di Maranello. Un vero mito nel mito. Questa è l’auto da corsa più bella concepita dalla specie umana. La Ferrari 330 P4 è di un fascino travolgente. Incredibile lo splendore dei suoi volumi, che si snodano con sublime grazia in tutta la tela grafica, per consegnare agli occhi (e al cuore) un capolavoro assoluto, unico e irripetibile. Nessuna vettura da gara può competere con lei in termini di splendore. Quando entra in scena nei concorsi d’eleganza, le auto nate per il solo piacere visivo vengono messe in ombra.
Incredibile come un mezzo sviluppato soprattutto per soddisfare le esigenze funzionali si conceda allo sguardo con uno stile così meraviglioso. La 330 P4 non è un’auto: è un’opera d’arte. Anche in questo caso la spinta è assicurata da un motore V12, ma di 4 litri di cilindrata, che mette sul piatto 450 cavalli di razza, accompagnati da melodie a dir poco fantastiche. Il tutto su un peso di soli 792 chilogrammi. Non ci vuole molto a capire il tenore delle sue performance. Questa “rossa” si è imposta nel Campionato Mondiale Marche del 1967, quando riuscì a piegare la resistenza dello squadrone Ford, riscattando lo smacco subito da Enzo Ferrari e dai suoi uomini l’anno prima. I conti furono così pareggiati. Indimenticabile l’arrivo in parata alla 24 Ore di Daytona.
Ferrari F40 (1987)
Non ci si stanca mai di ripetere che questa è la supercar per antonomasia dell’era moderna. Poche “rosse” riescono a reggere il confronto con lei. Si parla di mostri sacri come la 250 GTO e la 330 P4. La Ferrari F40 è un capolavoro assoluto, che omaggia al meglio la storia, proiettandola nel presente e nel futuro, perché lei è un’auto eterna. Impossibile trovare una vettura con la sua stessa presenza scenica. Qui il carisma tocca le sue cime più alte. Guardandola sembra di osservare un prototipo scappato dalla 24 Ore di Le Mans. I suoi lineamenti, però, sono anche armoniosi e raffinati. Limpidi e scorrevoli rispetto alle hypercar dell’era contemporanea.
La F40 non è nata per andare al teatro, ma anche alla Prima della Scala si troverebbe perfettamente a suo agio, perché le sue esuberanze sono meravigliose, poetiche, artistiche. Solo Pininfarina poteva concepire un capolavoro del genere. Accanto a lei, le altre auto sembrano dei banali elettrodomestici. Stiamo parlando di una supercar viscerale e genuina, dal carattere acqua e sapone. Impossibile resistere al suo fascino ormonale. Il motore è degno di tanta esuberanza. Si tratta di un V8 biturbo da 3 litri di cilindrata, che eroga una potenza massima di 478 cavalli a 7000 giri al minuto, su un peso a secco di 1100 chilogrammi. Facile intuire la forza bruta delle sue scariche di coppia, inebrianti come il sound. Tanto di cappello all’ingegnere Nicola Materazzi.
Ferrari 250 GT SWB (1959)
Ecco un altro capolavoro assoluto della casa di Maranello. Il suo nome ufficiale è Ferrari 250 GT Berlinetta passo corto, ma tutti la conoscono come SWB, acronimo di Short Wheel Base. Impossibile non farsi sedurre dal fascino sublime delle sue forme. Qui l’eleganza e la sportività si coniugano in modo perfetto. Le linee della carrozzeria riflettono felicemente il suo carattere, perché questa “rossa” sapeva vincere in pista, ma è adatta anche alle passerelle dei concorsi d’eleganza. Lunghissima la lista dei successi messi a segno nelle gare di tutto il mondo, a riprova della bontà della sua essenza.
I progettisti, con lei, fecero un eccellente lavoro. Non poteva essere diversamente, visto che qui entrarono in azione nomi del calibro di Mauro Forghieri, Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini. L’energia vitale giunge da un motore V12 di 3 litri, disposto in posizione anteriore longitudinale. Nella versione stradale mette sul piatto 240 cavalli, che diventano 280 in quella da corsa, battezzata Competizione. Al cambio sincronizzato a quattro rapporti il compito di aiutare il pilota a scaricare al meglio l’energia sulle ruote posteriori. Notevole il quadro prestazionale, sia in termini di accelerazione che di velocità. Le dinamiche della SWB sono accompagnate da un sound meraviglioso. Il telaio a traliccio di tubi in acciaio garantiva i livelli di solidità richiesti da un mezzo del genere.
Ferrari 250 Testa Rossa (1957)
Qui siamo al cospetto di un altro gioiello di Maranello, un’auto che proietta nel cuore della leggenda. La sigla riporta alcune sue caratteristiche: il codice numerico fa riferimento alla cilindrata unitaria, mentre Testa Rossa è la locuzione scelta per evidenziare il colore dei coperchi delle punterie. A Sergio Scaglietti va il merito di aver plasmato la sua carrozzeria, paragonabile a una scultura dinamica. Pur se destinata alle corse, questa vettura si concede allo sguardo con note di sublime classe. È un vero capolavoro. La Ferrari 250 Testa Rossa è sicuramente bella, ma è stata soprattutto vincente. Questo, per un bolide da gara, è il miglior complimento.
Al suo attivo tre mondiali marche consegnati al “cavallino rampante” nel 1958, 1960 e 1961, anno in cui si chiuse il ciclo produttivo del modello. La spinta di questa barchetta fa leva su melodico ed esaltante motore V12 da 3 litri di cilindrata, che sviluppa una potenza massima di 300 cavalli a 7200 giri al minuto, su un peso di soli 800 chilogrammi. La vettura ebbe più step evolutivi, ma la più seducente della serie resta la prima. Quella, per intenderci, con le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi, che le conferiscono una grandissima personalità stilistica. Le versioni successive persero questa caratteristica, ma confermarono la sua inclinazione alla gloria, fatta salva la parentesi del 1959, quando la 250 Testa Rossa, per una serie di fatti poco gradevoli (come la scomparsa di alcuni piloti) fallì l’obiettivo iridato.