La Peugeot Oxia è la supercar che mai ti aspetteresti. Quando si pensa alla casa di Sochaux, la mente corre ad auto pratiche o pepate come le GTI, non certo alle sportive estreme di fascia alta. Nel 1988, però, ci fu un’incursione del marchio in questo ambito, col modello prima menzionato. In quel decennio e nel successivo, del resto, il “leone” francese era in grande spolvero in ambito agonistico.
Tanti i successi raccolti nel Campionato del Mondo Rally e alla Dakar. Anche alla Pikes Peak e alla 24 Ore di Le Mans giunsero delle vittorie importanti. Nessuno, quindi, nutriva dubbi sulle capacità ingegneristiche del marchio, davvero di eccellente livello. Una supercar estrema era un esercizio perfettamente fattibile per i suoi tecnici, che non avevano timori reverenziali verso la concorrenza più blasonata, a dispetto di un posizionamento più popolare del brand sul mercato. La Peugeot Oxia è la prova di questa capacità.
Il modello non ebbe un seguito produttivo e rimase allo stadio di prototipo, ma entrò nel cuore di molta gente, anche se nel tempo il suo ricordo è progressivamente sfumato. Che fosse un mezzo “spaziale” lo si deduceva anche dal nome, derivato da quello di una regione di Marte chiamata Oxia Palus. La presentazione avvenne al Salone dell’Auto di Parigi. Qui lasciò a bocca aperta i visitatori, che non si sarebbero mai immaginati un mezzo del genere. La progettazione del modello fu gestita dal centro ricerche di La Garenne. Il frutto degli sforzi tecnici? Un concept avveniristico per una coupé gran turismo di nuova generazione.
Quella creatura era spinta da un motore V6 biturbo da 2,85 litri di litri di cilindrata, a 24 valvole, in grado di sviluppare una potenza massima di 680 cavalli, con 720 Nm di coppia: cifre di riferimento non solo per il marchio transalpino, ma per l’intero comparto delle supercar, in quel periodo storico. Tutta questa energia veniva scaricata a terra con l’ausilio di un cambio manuale a 6 marce e della trazione integrale permanente, che rendeva meno problematica la gestione dell’immensa cavalleria. I pneumatici Michelin da 235/45 ZR17 all’anteriore e da 285/40 ZR17 al posteriore avvolgevano dei cerchi in magnesio di taglio racing. La frizione era idraulica a doppio disco.
Nelle mani del pilota Jean-Philippe Vittecocq, tester Michelin, la Peugeot Oxia raggiunse, senza particolari sforzi, i 350 km/h sulla pista di Nardò, in Puglia. A favore del quadro prestazionale giocava anche il peso ridotto (1360 Kg), frutto di un esteso impego di materiali compositi come kevlar e fibra di carbonio per la carrozzeria. Il telaio era in estrusi di alluminio ed univa la leggerezza alla robustezza. Molto scenografica la carrozzeria, tutta proiettata in avanti. Sulla lunghissima coda a dominare la scena ci pensava lo spoiler posteriore regolabile, che si adattava alla velocità.
Nei tratti espressivi si coglieva lo stile della casa madre. Impossibile sbagliarsi sulla sua provenienza, nonostante la natura diversa rispetto ai “leoni” rituali. L’abitacolo era molto curato ed offriva accessori di lusso, in relazione alla sua natura di auto sportiva estrema. Un modo per differenziarsi nella specie. Da segnalare la presenza, nella parte bassa del parabrezza, di 18 celle fotovoltaiche, per rendere possibile l’uso dell’aria condizionata anche con l’auto spenta. Queste le dimensioni della Peugeot Oxia: 4610 millimetri di lunghezza, 2020 di larghezza, 1300 millimetri di altezza, 2800 millimetri di passo.
Solo 2 gli esemplari realizzati. Con lei la Peugeot esplorò l’Olimpo. Mai la casa francese si era spinta a tanto. In quegli anni le regine del mercato erano mostri sacri come la Ferrari F40 e la Porsche 959. Oxia irruppe sulla scena come vetrina della capacità tecnologica del marchio di Sochaux. Il suo pacchetto tecnico comprendeva anche le quattro ruote sterzanti. Roba d’avanguardia. Del resto, era l’auto venuta da Marte. La conoscevate?