Stellantis è il quarto gruppo automobilistico al mondo, nato dalla fusione tra FCA e PSA. Il colosso dell’auto conta 14 marchi, tra cui Fiat, Alfa Romeo, Peugeot e Citroën, e ha una presenza globale in 29 paesi. Ma il suo futuro in Italia preoccupa molti attori del settore, tra cui Confindustria. Confindustria è l’associazione degli industriali italiani, che rappresenta oltre 150 mila imprese e 5 milioni di addetti. Di solito si dichiara favorevole al libero mercato e alla concorrenza, ma in questo caso chiede l’intervento dello Stato in Stellantis.
Le motivazioni di Confindustria nella richiesta di avere lo Stato in Stellantis
Perché Confindustria vuole lo Stato in Stellantis? Quali sono le sue motivazioni e le sue proposte? E quali sono le reazioni e le critiche a questa richiesta? Confindustria vuole lo Stato in Stellantis per due motivi principali: equilibrare la presenza dello Stato francese nel gruppo e tutelare la filiera italiana dell’auto.
Il primo motivo riguarda la composizione azionaria di Stellantis, che vede una forte presenza dello Stato francese tramite il fondo Bpifrance, che detiene il 6,2% delle quote. Questo potrebbe favorire gli interessi francesi a scapito di quelli italiani, secondo Confindustria. Il secondo motivo riguarda il futuro degli stabilimenti italiani di FCA, che potrebbero subire tagli e delocalizzazioni a causa della strategia di riduzione dei costi di Stellantis. Questo potrebbe mettere a rischio migliaia di posti di lavoro e la competitività della filiera italiana dell’auto, che vale il 20% del Pil nazionale.
Le proposte di Confindustria
Confindustria propone quindi che lo Stato italiano entri in Stellantis tramite la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), una società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha lo scopo di sostenere lo sviluppo del Paese. L’idea è che la CDP acquisti una quota di Stellantis pari a quella dello Stato francese, ovvero il 6,2%, per avere lo stesso peso nelle decisioni strategiche del gruppo. In questo modo, si potrebbe garantire una maggiore rappresentanza degli interessi italiani e una maggiore tutela degli stabilimenti nazionali.
La richiesta di Confindustria ha suscitato reazioni contrastanti tra i vari attori coinvolti. Da un lato, ci sono stati alcuni apprezzamenti da parte dei sindacati, dei politici e degli amministratori locali, che hanno condiviso la preoccupazione per il futuro dell’auto in Italia e hanno chiesto al governo di intervenire per salvaguardare l’occupazione e l’innovazione. Dall’altro lato, ci sono state anche alcune critiche da parte degli esperti del settore, dei media e degli stessi azionisti di Stellantis, che hanno ritenuto la richiesta di Confindustria poco realistica, poco coerente e poco efficace.
Tra le critiche principali ci sono:
- La difficoltà pratica di acquistare una quota così rilevante di Stellantis senza violare le norme antitrust e senza alterare gli equilibri interni del gruppo
- La contraddizione tra la richiesta di intervento pubblico e la tradizionale posizione liberista di Confindustria
- L’inefficacia della presenza statale come garanzia per il mantenimento degli investimenti e dei livelli occupazionali
- Il rischio di creare una situazione di conflitto tra gli interessi pubblici e privati all’interno del gruppo
- La necessità di puntare su altri fattori per rendere più competitiva l’industria italiana dell’auto, come la riduzione della burocrazia, il sostegno all’innovazione e la promozione della mobilità sostenibile
In conclusione, la richiesta di Confindustria di far entrare lo Stato in Stellantis è una richiesta sorprendente che nasce da una preoccupazione legittima ma che presenta diversi problemi e limiti. Il futuro dell’auto in Italia dipenderà da molti altri fattori che vanno oltre la composizione azionaria del gruppo automobilistico di Carlos Tavares.