La 24 Ore di Le Mans è, forse, la gara più prestigiosa al mondo. Ferrari ha vinto per 9 volte la sfida della Sarthe. Ad aprire il ciclo ci pensò la 166 MM, portata al successo da Luigi Chinetti e Peter Mitchell-Thomson nel 1949, mentre il sigillo più “fresco” risale al 1965, quando una Ferrari 250 Le Mans tagliò per prima la linea del traguardo, con Jochen Rindt e Masten Gregory al volante.
In occasione del centenario della gara francese, la cui prima edizione andò in scena nel 1923, vogliamo focalizzarci su quella “rossa“: l’ultima ad aver centrato il successo assoluto nella più leggendaria gara endurance di tutti i tempi. Lo facciamo con l’auspicio che la nuova 499P, sua “discendente” ideale, possa riportare presto la gloria a Maranello. Con l’hypercar ibrida, il “cavallino rampante” vuole riannodare i fili della storia. L’obiettivo? Brillare in pista come le sue più illustri progenitrici. La Ferrari 250 Le Mans è un forte motivo di ispirazione.
Stiamo parlando di una creatura rivoluzionaria, che voleva diventare la prima “rossa” stradale con motore posteriore centrale, ma fu omologata fra i prototipi, riuscendo anche a batterli. Le linee della sua carrozzeria miscelano l’aggressività corsaiola con raffinati tocchi di classe. Il frontale è corto e affilato, con calandra a bocca di pesce, mentre la coda si caratterizza per le esuberanti rotondità. L’accentuato spoiler svolge egregiamente la sua funzione deportante.
Particolarmente sinuoso il disegno dei passaruota posteriori, sormontati da una presa d’aria che ha fatto scuola. Questa vettura corse coi colori dei team privati, ma brillò ugualmente sui campi di gara. Numerosi i successi raccolti, a partire dalla doppietta alla 12 Ore di Reims del 1964, con Hill e Bonnier davanti a Surtees e Bandini. La vittoria più prestigiosa, però, fu quella assoluta guadagnata alla 24 Ore di Le Mans, nel 1965.
Nata nel solco di una tradizione intrisa di ardente passione e vibrante maestria meccanica, la Ferrari 250 Le Mans si erge al rango di epitome dell’eccellenza motoristica. Frutto della mente e delle mani degli artisti di Maranello, si spinge audacemente verso il nucleo emotivo degli appassionati. Il suo motore V12 da 3.3 litri di cilindrata sprigiona una potenza vulcanica e note di sublime magia musicale. Alle spalle del pilota c’è un’orchestra sinfonica, ma è il vigore prestazionale il suo punto di forza. Questo gioiello meccanico eroga oltre 320 cavalli a 7500 giri al minuto, con un crescendo rossiniano.
L’energia viene scaricata a terra sulle ruote posteriori, giovandosi dell’assistenza di un cambio manuale a 5 rapporti, che svolge egregiamente il suo compito. Il generoso cuore è abbinato a una carrozzeria in alluminio e a un telaio in tubi tondi di acciaio, integrati da pannelli in alluminio. Su questa “rossa”, l’ingegneria si miscela felicemente alla passione e all’artigianato, per una tela di sublime splendore. Maestosamente aggraziata sul palcoscenico delle corse automobilistiche, la Ferrari 250 Le Mans si distingue per la sua forte presenza scenica e per l’altissimo tenore prestazionale. Negli anni ’60 scrisse pagine memorabili nella storia delle corse, lasciando un’impronta indelebile.
Sotto l’affascinante carrozzeria si nascondono un animo fiero e una determinazione senza eguali. Le sue gesta sulle piste di tutto il mondo risplendono come stelle in una notte d’estate. La Ferrari 250 Le Mans si è distinta nella celebre 24 Ore di Le Mans, una sfida titanica che separa gli uomini e i mezzi dai miti. Qui, nel 1965, mise a segno una brillante vittoria, fissata in modo perenne nelle cronache motoristiche. Grande e preziosa l’eredità lasciata da questa creatura del “cavallino rampante”, simbolo delle capacità tecnologiche e dell’ingegno creativo italiano.
Il suo spirito risplende ancora oggi e trova una discendenza evocativa nella 499P che, per legarsi al suo glorioso palmares, punta a ripetersi nella sfida della Sarthe. Ci riuscirà? Lo sapremo presto. Nell’attesa, sciogliamo una piccola curiosità, relativa al codice numerico presente nella sigla della Ferrari 250 Le Mans. Questo non corrisponde alla cilindrata unitaria del motore da 3.3 litri (men che meno del successivo da 4.0 litri), ma si lega a quella del primo esemplare della specie, incendiatosi a Sebring, che montava il classico 3 litri mutuato dalla Testa Rossa. A quel punto i cataloghi del modello erano già stati stampanti, quindi piuttosto che rifarli, si preferì lasciare inalterato il nome del modello, a dispetto dell’incongruenza numerica. Anche in queste cose il marchio emiliano sa stupire.