La Peugeot 309 si appresta a spegnere le 40 candeline. Questa berlina, nata per prendere il posto della 204, fu svelata al pubblico nel mese di ottobre del 1985, anche se la commercializzazione iniziò l’anno dopo, negli stabilimenti di Poissy. Il ciclo produttivo si protrasse fino al 1993, dopo che il contatore commerciale aveva superato la soglia del milione e seicentomila esemplari.
Con questa vettura, la casa del “leone” riprese un po’ di ossigeno nel segmento C, contribuendo al tempo stesso a rafforzare le sue finanze, non proprio splendide in quel periodo storico. Al fine di ottimizzare i costi fu usato il pianale della 205, auto che seppe imporsi nel segmento B, diventando una best seller del marchio. Parte della componentistica era invece condivisa con la 305.
La Peugeot 309 si distingueva da entrambe, per le sue specificità. Il principale elemento di caratterizzazione visiva era forse il taglio a due volumi e mezzo dato alla sua carrozzeria. Un soluzione sposata anche dalle Ford Escort ed Alfa Romeo 33. Grazie all’attento studio dei flussi, il Cx era pari a 0.33: un valore piuttosto contenuto, che raccontava di una buona scorrevolezza aerodinamica.
Il look del modello, per quanto particolare, non faceva strappare le vesti dall’entusiasmo. Difficile innamorarsene, ma l’auto ebbe i suoi ammiratori anche sul piano stilistico. Si dice che il mondo è bello perché è vario, quindi anche questo ci può stare, nonostante le forme di questa “leonessa” fossero ben lontane da quelle di una top model a quattro ruote.
La cosa non stupisce troppo, perché gli acquirenti della Peugeot 309 non erano dei sognatori, ma persone che badavano al sodo. Qui gli aspetti funzionali, come la versatilità, le spese di gestione contenute e l’affidabilità avevano un ruolo primario. In questo ambito la berlina francese sapeva fare bene i suoi compiti.
Apprezzabile il dimensionamento dell’abitacolo, che garantiva comoda ospitalità ai passeggeri. I volumi coperti disponibili erano fra i più alti del segmento C, in quel periodo storico. Purtroppo il taglio espressivo era così orientato alla praticità da non concedersi alcun vezzo, neppure sul piano cromatico, per regalare un po’ di vivacità a bordo. La cosa non faceva particolare differenza per chi considerava le automobili dei semplici mezzi per spostarsi dal punto A al punto B.
Sul piano propulsivo, la Peugeot 309 offrì nella fase iniziale del suo cammino commerciale un ventaglio composto da quattro motori a benzina di cilindrata diversa: 1.1 da 55 cavalli; 1.3 da 65 cavalli; 1.6 da 80 cavalli e 1.9 da 105 cavalli. Solo nella prima configurazione, di cubatura più bassa, faceva ricorso a un cambio a quattro marce, mentre nella altre declinazioni la vettura francese si giovava di una trasmissione manuale a cinque rapporti. All’azione frenante provvedeva un impianto misto, con dischi all’avantreno e tamburi al retrotreno.
Proposta in cinque diversi livelli di allestimento, la Peugeot 309 fece il suo sbarco sul mercato con la versione a cinque porte. Nel 1987 giunse anche la versione a tre porte. Nell’intervallo, sbocciò la variante diesel, offerta in entrambe le declinazioni. Qui la spinta faceva capo a un motore XUD9 da 1905 centimetri cubi di cilindrata, privo di sovralimentazione, con 65 cavalli al servizio del pedale dell’acceleratore.
Per gli amanti delle performance nacque la GTI, alimentata da un cuore sportivo da 1.9 litri, in grado di sviluppare 130 cavalli di potenza massima, come sulla sorella 205, che lo condivideva. Fu questa la punta di diamante della famiglia, almeno sul piano delle vibrazioni sensoriali, fino a quel momento. Qui la mitezza del modello e il suo grigio anonimato venivano riconciliati con l’istinto verso il piacere, tipico di ogni essere umano. In tale veste muscolare, proposta inizialmente solo nella versione a tre porte, l’auto prese forma anche in quella a cinque porte, nel 1988.
L’anno dopo giunse un restyling della Peugeot 309, riconoscibile ma non radicale sulla carrozzeria. Più marcata la revisione degli spazi interni, che guadagnarono un po’ di smalto, sia a livello stilistico che cromatico. Al posto delle unità propulsive di più bassa cilindrata provenienti dalla Simca, trovarono spazio due motori di nuova concezione, da 1124 centimetri cubi e 60 cavalli e da 1360 centimetri cubi e 70 cavalli. Fecero il loro ingresso in gamma anche il milleotto turbodiesel da 78 cavalli e il millenove a benzina a 16 valvole da 160 cavalli, identico a quello della 405 Mi16. Queste le modifiche più rilevanti, ma non furono le uniche, che accompagnarono il modello verso l’uscita di scena.