Negli anni ’80 le case automobilistiche italiane sapevano produrre delle berline coi fiocchi, che sfidavano a testa alta la concorrenza straniera. Modelli come l’Alfa Romeo 164, la Lancia Thema e la Fiat Croma erano le ammiraglie dei rispettivi marchi e declinavano in modo diverso l’eccellenza creativa del Belpaese, in un segmento molto esigente. Qui non sfiguravano rispetto alle rivali del tempo.
La vettura del “biscione” aveva un’indole più sportiva, ma espressa con grande classe. Sulla Lancia prevalevano le note del lusso e della raffinatezza, da mezzo di rappresentanza. La Croma apriva le porte dell’acquisto a quanti cercavano un’auto bella, ma pratica e relativamente accessibile, rispetto agli standard del segmento. Ad accomunare i tre modelli, oltre alla provenienza geografica e alla qualità dello stile, ci pensava il fatto che derivassero da una piattaforma condivisa, quella del progetto “Tipo Quattro”, nel cui ambito prese forma anche una vettura svedese: la Saab 9000.
Si può parlare di una sinergia industriale ante litteram, fatta per abbattere i costi, diluendo gli investimenti di progettazione e costruzione su volumi di scala decisamente maggiori, con benefici tanto per le casse aziendali quanto per i clienti, tentati da prezzi di listino più bassi di quelli che sarebbero maturati in condizioni normali, fatte di sviluppi singoli. Se lo gradite, seguiteci nel nostro viaggio alla scoperta di queste auto italiane, davvero molto riuscite e apprezzate, che oggi mancano all’appello nei listini del Belpaese.
Lancia Thema: l’ammiraglia italiana
Questa fu la prima vettura del trio italiano nata nell’ambito della collaborazione di cui vi abbiamo detto. Il suo debutto in società prese forma al Salone dell’Auto di Torino, nel mese di novembre del 1984. Rispetto alle altre, puntava maggiormente sul lusso e sull’eleganza, con l’ambizione di diventare l’ammiraglia tricolore di quegli anni (Maserati Quattroporte esclusa). Lungo il suo ciclo commerciale, che si chiuse dopo un decennio di vita, nel corso del quale sbocciarono tre serie del modello, plasmato in oltre 370 mila esemplari. Una prova del suo successo solido e duraturo, specie nel bacino di mercato interno.
Anche se ebbe una versione station wagon, particolarmente riuscita, la Lancia Thema cui ci riferiamo in questo post è la berlina a tre volumi, che profuma di classe ancora oggi. Il suo era uno sfarzo distintivo, soft e tangibile, ma non gridato. La discrezione della carrozzeria è ascrivibile al merito degli uomini del centro stile interno, coadiuvati per l’occasione da Giorgetto Giugiaro, che seppe dare il suo tocco da maestro.
Questa vettura di gusto classico offriva un abitacolo molto raffinato, che sapeva coccolare con gusto i suoi ospiti. Notevole il comfort assicurato, anche nelle lunghe percorrenze. A differenza di altre proposte della concorrenza non aveva la trazione posteriore, ma sulla Lancia Thema non si cercavano le derapate. Buono il suo equilibrio dinamico, condito da un’elevata affidabilità di guida. Possiamo parlare di un’auto che non tradiva. Molti personaggi in vista ne fecero il proprio mezzo di trasporto prediletto. Anche in ambito politico e dirigenziale divenne l’ammiraglia preferita.
Diverse le motorizzazioni offerte alla scelta della clientela. Sotto il cofano anteriore potevano trovare accoglienza cuori a benzina o diesel. Della prima categoria erano le unità a 4 cilindri da 2.0 litri (aspirato e turbo), a 6 cilindri da 2.8 litri, a 6 cilindri da 3.0 litri. Ci fu pure una versione 1.6, plasmata in pochissime unità. Per gli amanti del gasolio, c’era la versione Turbodiesel da 2.5 litri. Un discorso a parte merita la Lancia Thema 8.32, spinta da un propulsore Ferrari V8 da 3.0 litri di cilindrata, a 32 valvole, in grado di esprimere una potenza massima di 215 cavalli, per una punta velocistica di 240 km/h. Qui il lusso e le emozioni erano travolgenti. Anche il sound si poneva al top.
Fiat Croma: un’auto pratica e versatile
Dopo la Lancia Thema fu il turno della Fiat Croma, il cui vernissage risale al 1985. Pur avendo meno carattere estetico dell’altra, non sembrava la figlia di un Dio minore sul piano stilistico, perché la sua armonia compositiva era impeccabile e le consentiva la rivincita, almeno su questo fronte. Anche in questo caso, il merito del design andava agli uomini del Centro Stile Fiat, coadiuvati da Tom Tjaarda e Giorgetto Giugiaro, che assunsero per l’occasione il ruolo di supervisori.
Il perfetto bilanciamento di volumi emergeva, in particolare, nella vista laterale dell’auto. Dietro, poi, la Croma giocava più sulle linee orizzontali, dando l’impressione di un maggiore sviluppo in larghezza rispetto all’ammiraglia dell’altro marchio torinese: un plus. Come riferito in un’altra circostanza, tutto nel suo corpo grafico scorre fluidamente. Se solo avesse avuto un briciolo di carattere in più nel frontale, ancora oggi sarebbe al passo coi tempi. Anche in questo caso la permanenza in listino fu più che decennale. Nel corso della sua esistenza l’auto in esame fu proposta in due serie diverse. La seconda aveva un frontale più caratterizzato e diverse migliorie interne.
Davvero difficile rendersi conto, al primo sguardo, che le sue portiere sono identiche a quelle della Thema (e della Saab 9000): una riprova dell’eccellente lavoro fatto dai designer, per differenziare i prodotti di questa famiglia, nata sulla già citata piattaforma condivisa, che permise di diluire i costi in modo intelligente. Gli interni erano meno lussuosi rispetto a quelli della cugina torinese, ma avevano una buona dignità. Si vedeva, comunque, che la Fiat Croma puntava più sugli aspetti pratici. Con lei si voleva intercettare una clientela in cerca di un’auto “importante”, ma con costi di esercizio contenuti, in linea con l’immagine del marchio di cui si fregia. Ben calibrato il rapporto qualità/prezzo, che stuzzicava più di un appetito ai suoi tempi.
Il successo commerciale del modello fu la prova concreta della bontà della formula, anche se sbocciò quasi del tutto sul mercato interno. All’estero, infatti, la casa automobilistica che la produceva non aveva molta forza di richiamo per i prodotti di gamma più alta. Discreto l’assortimento della linea propulsiva, composta da unità a carburatori da 1.6 e 2.0 litri di cilindrata. In quest’ultima cubatura presero forma anche due versioni a iniezione, una delle quali sovralimentata da un turbocompressore, per una potenza massima di 155 cavalli, quasi il doppio di quella espressa dalla versione base della line-up produttiva, ferma a 83 cavalli. Nel ventaglio di scelta non mancavano le motorizzazioni diesel, con cilindrate da 2.0 litri a salire.
Alfa Romeo 164: l’auto personale di Enzo Ferrari
Questa, oltre ad essere la più giovane, è a mio avviso anche l’ammiraglia più bella del gruppo in esame. Il merito va ad Enrico Fumia, che ha disegnato per Pininfarina le sue forme scultoree e moderne. Qui l’eleganza si miscela in modo impeccabile alle note della sportività visiva, con una linea snella e sfuggente, che piacque anche ad Enzo Ferrari. Il Commendatore addirittura la scelse come auto personale. Fu l’ultima che ebbe modo di utilizzare. Un valore aggiunto di non poco conto per un modello che ha lasciato traccia nella storia, per il fascino delle sue alchimie stilistiche.
Il fondatore della casa del “cavallino rampante” scelse per sé un esemplare rosso da 2 litri, versione TS: stessa sigla che qualche anno dopo si ritrovò sulla versione con tettuccio rigido asportabile della Ferrari 348, ma non c’è alcuna connessione tecnica o storica, trattandosi di una semplice casualità. Qui le due lettere stavano per Twin Spark, non per Trasversale Berlinetta. L’Alfa Romeo 164 ebbe in questo motore a doppia accensione il suo fulcro commerciale. Si trattava di un 4 cilindri in linea, con basamento e testata in lega leggera. Il duemila in questione erogava una potenza massima di 148 cavalli a 5800 giri al minuto, con un picco di coppia di 19 kgm a 4000 giri al minuto. Fu la scelta prediletta da gran parte dei clienti di questa splendida berlina, nata nel solco della migliore tradizione creativa italiana.
Bello anche il trattamento dell’abitacolo, dove si coglieva una certa ricercatezza espressiva, anche se non preziosa come quella della carrozzeria. Come riferito in altre circostanze, quest’auto del “biscione” avrebbe fatto il pieno di fatturato se fosse stata dotata di trazione posteriore. Anche così, però, il suo successo commerciale fu travolgente. Come per la Croma e la Thema, la sua permanenza in listino durò circa un decennio. Dopo di lei giunse la 166, sua evoluzione, ma sul piano estetico quest’ultima, pur essendo ad essa connessa, perdeva l’impeccabile plasticità delle forme iniziali, davvero scultoree.
Oltre al motore da 2.0 litri Twin Spark, nella gamma dell’Alfa Romeo 164 c’erano anche il V6 Turbo da 2.0 litri e il 3.0 V6 a 24 valvole, rotondo, musicale e molto vigoroso nel suo funzionamento. Le emozioni erano assicurate. Ampio il ventaglio di potenze, calibrate sui diversi allestimenti dell’auto milanese: si spaziava dai 144 cavalli del duemila aspirato ai 232 cavalli del tremila che animava le danze della Quadrifoglio Verde a 24 valvole. Spazio anche per il gasolio, con la motorizzazione turbodiesel da 2.5 litri, in grado di sviluppare fino a 125 cavalli.