C’è aria pesante a Melfi, e non stavolta (anche se il tema è sempre al centro) non stiamo certo parlando di emissioni. Gli operai dello stabilimento Stellantis sono sul piede di guerra o, per dirla meglio, sul bordo del baratro. La situazione sembra complicarsi ogni giorno di più. Tra i dazi dell’amministrazione Trump che piovono come grandine e una transizione ecologica che definire “gestita male” è quasi un complimento, la situazione è tutt’altro che rosea.
Nello storico impianto lucano si assemblano ancora Jeep Compass, che presto avrà una nuova versione, ma anche modelli ormai col motore praticamente al capolinea, nel dettaglio Jeep Renegade e Fiat 500X, entrambe in uscita.
All’orizzonte c’è l’arrivo della futura Lancia Gamma, della DS8 e compagnia bella, ma il dubbio resta. Sarà sufficiente a salvare la baracca? Secondo l’operaio e portavoce degli oltre 5.000 dipendenti di Stellantis a Melfi, la risposta è un deciso no. “In TV va tutto bene,” dice, “ma noi siamo passati da 7.200 anime a 5.000. Prima facevamo 1.200 auto al giorno, oggi 160. E nessuno se ne accorge?”.
Il mix esplosivo sembra essere identificato come il problema che non è stato affrontato a dovere da Stellantis. Da un lato le famigerate politiche green europee, dall’altro i dazi imposti dalle amministrazioni americane (non solo l’ultima del tycoon) che hanno azzoppato il 60% della produzione diretta verso gli States. E ora arriva pure Trump a minacciare il colpo di grazia, come se servisse.
Il portavoce degli operai di Stellantis Melfi non si risparmia: “Siamo stati i primi a scioperare per portare l’elettrico a Melfi, ma tra Tavares che ci dava il buongiorno a colpi di tagli e una politica che naviga a vista eccoci qua, a guardare il futuro nello specchietto retrovisore”.
Stellantis, nella sua “componente italiana” post-Agnelli, ha fatto qualcosa di concreto fin ad adesso per i lavoratori del Bel Paese? Il portavoce non le manda a dire ed è lapidario: “Abbiamo portato piani ibridi ed elettrici, ma ci hanno scaricato come una batteria usata. E intanto ci danno la colpa di un disastro che non abbiamo creato noi”.