“Volevo vendere l’Alfa alla Ford, fecero di tutto per impedirmelo e ci riuscirono”. A rivelarlo Romano Prodi, allora presidente Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale), ente pubblico italiano con funzioni di politica industriale chiuso nel 2002, di cui faceva parte il Biscione attraverso Finmeccanica. La storia, si sa, è composta da tanti bivi: imboccare quella strada o quell’altra può incidere in maniera determinante sul futuro. Non sapremo quindi mai come sarebbe andata se il marchio italiano fosse confluito nel conglomerato USA. A ogni modo, il binomio Alfa Romeo-Fiat continua ancora oggi, nato esattamente 33 anni fa.
Ecco come appariva la prima pagina del sole24ore 33 anni fa.
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Alfa Romeo apre le trattative con Ford
Tutto ha inizio nel maggio 1986, da un comunicato in cui Alfa Romeo annuncia l’apertura delle trattative con Ford per la cessione di una parte del proprio capitale. Passano mesi, un’estate intera, finché il 1° ottobre gli americani presentano la loro proposta: acquisizione immediata di una quota Alfa limitata al 19,5 per cento, valutata 200 miliardi di lire; perdite suddivise per tre anni tra Ford e Iri in base alle relative quote; accorpamento dell’Alfa nel 1990, a un prezzo concordato secondo i risultati conseguiti.
Nel contratto l’Ovale Blu si impegna a: mantenere il brand Alfa Romeo; investire 4mila miliardi di lire e aumentare la produzione annua a 400mila unità; escludere licenziamenti collettivi. Il presidente della Ford raggiunge Roma in volo, per illustrare sia al premier Bettino Craxi che ai ministri competenti i vantaggi sulla scena italiana ed europea della buona riuscita dell’operazione.
Fiat prova il blitz
In parallelo irrompe però Fiat, interessata ad accorpare Lancia e Alfa Romeo. Cesare Romiti, amministratore delegato del costruttore piemontese, avanza ufficialmente la controfferta per tutte le attività Alfa Romeo, coprendo i 700 miliardi di lire di debiti della società e pagando 1.050 miliardi di lire in cinque tranche annuali di 200 miliardi di lire a partire dall’anno in cui Alfa sarebbe tornata in utile (forse il 1992). L’affare da 8mila miliardi complessivi prevede una società unica Alfa Lancia, la realizzazione di 620mila unità del segmento a regime medio-alto, il turn-over per fronteggiare la manodopera in eccesso e il riassorbimento dei cassaintegrati mediante l’espansione produttiva in programma.
I mille miliardi furono veramente 1000? Diciamo di no…
Il vantaggio finanziario per l’Iri di Prodi era scarso. La somma in contanti cominciò ad affluire soltanto sei anni dopo e, ricalcolati dalla Commissione Cee, quei 1.025 miliardi erano pari “in termini di valore di sconto a 389,9 miliardi di lire”: lontanissimi dai 1.281 miliardi iniettati dal 1979 al 1986 a copertura delle vertiginose perdite. La stessa Finmeccanica, pochi mesi dopo, presentò all’Iri la richiesta di un aumento di capitale di 1000 miliardi. L’unico beneficio immediato fu la fine della lunga sequela di bilanci in rosso da ripianare.
I maggiori dubbi sull’operazione furono sollevati a sinistra. Il deputato comunista Eugenio Peggio scrisse al presidente della commissione Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, una lunga lettera piena di interrogativi, sottolineando che “la Fiat avrà un grosso vantaggio fiscale perché le perdite Alfa annulleranno il prelievo sugli utili Lancia.
L’operazione Ford avrebbe portato valuta nel nostro Paese: vorremmo sapere quanto costerà il mancato apporto valutario”.
Vendita AlfaRomeo a Ford, Italia “batte” USA
Con due realtà interessate, i vertici si prendono alcuni giorni per valutare la controparte migliore, fino al 6 novembre, quando Finmeccanica sceglie Fiat. Il Cipi, radunato per circa un’ora allo scopo di verificare la correttezza delle procedure seguite nella trattativa, dice di sì; un atto formale risolto nel voto unanime dei presenti. E conferma: la soluzione ideale è rappresentata dalla Fiat, accettando le garanzie di corso per il futuro di Alfa Romeo e per l’occupazione negli impianti di Arese, di Pomigliano e in quelli legati al gruppo industriale.
Infine, la privatizzazione dell’automotive è giudicata in linea con gli obiettivi del sistema e la politica industriale nazionale. La lettera del ministro Darida che autorizza la cessione finisce sul tavolo di Romano Prodi. “La proposta Fiat – dichiara l’allora presidente IRI – è stata ritenuta vantaggiosa anche alla luce delle valutazioni degli studi specializzati della First Boston Corporation. È certo una decisione dolorosa ma inevitabile”.
Il giorno seguente l’accordo è su tutte le prime pagine dei quotidiani. Sul fronte sindacale, FIOM (i metalmeccanici della CGIL) esprime cautela, mentre UIL e Cisl accolgono favorevolmente la notizia. Giorgio Benvenuto, segretario UIL, sostiene: “è una garanzia per i lavoratori”.
Fiat rileva Alfa Romeo: opinioni dissonanti
Il ministro dell’Industria, Valerio Zanone, accoglie favorevolmente una giornata considerata storica poiché per la prima volta il Governo ha decretato l’uscita delle Partecipazioni statali da un intero polo industriale. Fanno eco alle sue parole quelle di Gianni De Michelis, ministro del Lavoro: “Voterò a favore della scelta Fiat per l’Alfa Romeo. Non ho ancora visto le carte, ma ritengo che il giudizio della Finmeccanica e dell’ Iri sia difficilmente contestabile sulla base di un criterio qualitativo che privilegi una soluzione nazionale”. Rispondendo ad una domanda sull’occupazione, De Michelis dà un giudizio positivo, se la Fiat confermerà le garanzie date.
Ma il ministro del Bilancio nonché presidente Cipi, Pierluigi Romita, la pensa diversamente. In realtà è bene evitare toni trionfalistici – avverte Romita -, assistendo alla celebrazione dell’ennesimo funerale nell’ambito delle Partecipazioni statali. La cessione era un passo obbligato, non altrettanto per l’Iri arrivare a un fallimento industriale di siffatte proporzioni prima di vendere il suo settore automobilistico. In Parlamento Romano Prodi rivendicherà il provvedimento: “Per me in particolare sarebbe come sconfessare parte della mia storia professionale, visto che da presidente dell’Iri in quegli anni ho avviato uno dei più consistenti processi di privatizzazione intrapresi in Europa”. Nonostante le rimostranze iniziali, col senno del poi prova, evidentemente, compiacimento.